martedì 20 maggio 2008

il gusto delle piccole cose terrene


uno stralcio del dialogo tra i due angeli ne "Il cielo sopra Berlino" di Win Wenders (1987)

Damiel: È bello vivere di spirito, testimoniare per l’eternità soltanto quello che c’è di spirituale nella mente degli uomini. Ma a volte sono stanco della mia esistenza spirituale. Invece di aleggiare sempre lassù vorrei sentire un peso crescere in me per porre fine all’infinito e legarmi alla terra. Vorrei essere capace, a ogni passo, a ogni soffio di vento, di dire “ora”, “adesso”, e non più “per sempre” e “per l’eternità”. Sedermi a un tavolino ed essere salutato, anche solo con un cenno. Ogni volta che abbiamo preso parte alle cose umane, era per finta. La lotta con un uomo, l’anca lussata: per finta. Prendere un pesce: per finta. Sedersi a tavola, mangiare e bere: per finta. Agnello arrostito e vino, là nelle tende nel deserto: soltanto per finta. No, non chiedo di piantare un albero o di concepire un figlio, mi basterebbe tornare la sera dopo una lunga giornata e dar da mangiare al gatto, come Philip Marlowe. Avere la febbre. Le dita annerite dal giornale. Commuovermi non soltanto con la mente, ma per la linea di una nuca, per un orecchio. Mentire! Sfacciatamente! Sentire le ossa che si muovono con te mentre cammini. Tirare a indovinare, invece di sapere sempre tutto. Poter dire “aah”, “oh”, “ehi”, invece di “sì” e “amen”.

Cassiel: essere capace, per una volta, di entusiasmarsi per il male. Tirare fuori dai passanti tutti i demoni della terra e scacciarli nel mondo. Essere selvaggi.

Damiel: O almeno sapere che cosa si prova a togliersi le scarpe sotto il tavolo e sgranchirsi le dita dei piedi.


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